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di
Lorenzo Desirò

 

Tutto il 504 rimane muto. All’inizio, sovrappensiero, non avevo capito il perché, ma poi alzando lo sguardo ho puntato i miei occhi nella direzione in cui tutti stavano guardando. Era incredibile.
Mi tolgo le cuffiette e spengo la musica. A bocca aperta, come tutti gli altri passeggeri, inizio ad osservarli anche io.
L’autobus dopo averli fatti salire, come indifferente, ha chiuso le porte e ha continuato il suo percorso verso questa periferia fatta di niente, fatta di strade e ponti che sbattono sul G.R.A, fatta di centri commerciali circondati da un nulla di sterpaglie e campi abbandonati a sé stessi.
A noi viaggiatori abituali del 504 loro non potevano sfuggire al nostro interesse. Loro sono in piedi precisamente al centro dell’auto. Tutti iniziano sempre di più a studiarli guardandoli dal basso all’alto, da sinistra a destra, tutti increduli di questa visione.

Il pensionato seduto sul sedile accanto al mio e il ragazzo in piedi con lo zaino a tracolla non riescono a distogliere lo sguardo. La signora sui cinquanta coi capelli ricci e scuri e con quell’aria da insegnate abbassa un poco gli occhiali sul naso, come per vederli meglio. Anche il quarantenne in giacca e cravatta dal capello corto e brizzolato che parla e gesticola al cellulare si accorge dell’inspiegabile presenza e inizia a fissarli. Tre operai probabilmente dell’Est con i loro jeans e magliette sporche di vernice e polvere bianca smettono di ridere e parlare fra loro e muti rivolgono i loro occhi verso gli incredibili viaggiatori. La studentessa universitaria stava sottolineando a matita su alcune fotocopie. La matita rimane ferma e anche il suo sguardo punta in direzione dei nuovi ospiti.

Si inizia a vociferare: «è incredibile», «mai visti prima…», «Non è possibile!», «Ma che ci fanno qui?»

Il pensionato al mio fianco continua ad osservarli e a bassa voce: «in tanti anni non ho mai visto una cosa del genere».
«Neanche io» e gli chiedo – sempre con un sussurrato: «ma questo è il 504? Ho preso l’auto giusto? Il percorso è sempre lo stesso? »
«Sì» dice l’anziano continuando a guardarli.
Intanto l’autobus è fermo nel traffico e riesce a fare pochi metri per volta.

Loro sono al centro. Sono tre. Ridono come solo loro sanno fare. Comunicano nel modo in cui solo loro sanno fare. Non si rendono conto di essere osservati malgrado sia evidentissimo il nostro sgomento per la loro presenza. E loro tre indifferenti, sorridono, parlano. Estraggono cellulari e mandano messaggi.

Si fanno le foto tra di loro come solo loro sanno fare.

Seduto al sedile dietro il mio, un ventenne si sporge e mette la testa tra me e l’anziano al mio fianco e chiede bassa voce:

«Aoh, ma che ce fanno i turisti Giapponesi a Anagnina?»

«Non lo so» gli rispondo

E il vecchio «e dove vanno?»

«Non lo so…» Rispondo ma sempre senza riuscire a distogliere lo sguardo da loro

«… Credetemi, non ne ho la più pallida idea…».

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di
Giulio Calenne

 

L: «Attento che mo’ la porta si apre dall’altro lato».

(bip bip) Entra una vecchietta, un comunitario extra e un liceale. Esce rumena carina.

M: «Grazie, mi ero distratto».
L: «A che stai a pensa’?»
M: «A niente…»
L: «Sempre a Camilla?»
M- «Ma no no.»
L: «Stai ancora a rosica’?»
M: «Ahò t’ho detto de no».
L: «Vabbè o scusa, t’eri imbambolato».
M: «Stavo pensando alla Metro».
L: «A che?!»
M: «Alla Metro come luogo dove si perdono continuamente delle storie».
L: «Me sa che era meglio Camilla… Tutto bene?»
M: «Ahò pensaci, ogni giorno passiamo circa 10-15 minuti sul treno a non fare praticamente nulla».
L: «Eh?»
M: «E nel frattempo, magari mentre ascoltiamo un po’ di musica o ci facciamo gli affari nostri, osserviamo chi ci è attorno cercando di capire qual è la sua storia. Guarda quella donna sui quaranta ad esempio. Bel fisico asciutto, scarpe con i tacchi, vestitino raffinato, borsa Gucci e occhiali da sole (in metro). Per me se sente ‘sto cazzo. Magari sta pensando che schifo questi poveri, dovrebbero aumentare il prezzo del biglietto. Sicuro è nata in una famiglia facoltosa ed ora è la dirigente di chissà quale azienda. E il marito la tradisce con la sua migliore amica».
L: «Io ‘na botta ja darei».
M: «Sì vabbè pur’io. Però che ne poi sape’ di quella? Magari ha gli occhiali da sole per coprire un pugno, magari si veste bene ma non c’ha ‘na lira, o forse va a trovare l’amante».

(bip bip) Entra uomo con baffi folti. Esce ragazza asiatica.

L: «Ahò ammazza che baffi! Quello sicuro è un buongustaio, perché si sa: di birra e di…»
M: «Lo vedi! Lo fai pure te!»
L: «Sì ok ma che c’entra con il perdere delle storie? Uno immagina e basta».
M: «C’entra eccome invece! Perché ogni volta che qualcuno o qualcuna scende dal treno si perde inevitabilmente la possibilità di conoscere il suo racconto. E a me ‘sta cosa me fa impazzi’!»
L: «Vorresti chiedere a tutti la loro storia?»
M: «Perché no?! Pensa che bello scoprire che quella darkettona là seduta si commuove ogni volta che vede La Bella e la Bestia. O che quel bangla appoggiato lì alle porte veniva preso in giro da piccolo perché voleva fare il supereroe».
L: «Er bangla supereroe della notte. Già ce sta. Vabbè e quindi?»
M: «E quindi niente, è inevitabile. Sul treno continueranno incessantemente a scendere e a salire racconti di cui non sapremo mai nulla. E boh, forse è meglio così».
L: «Possiamo sempre immaginare».

(bip bip)