di
Federico Cirillo
«Buongiorno gentile utente. L’opzione LTE non è stata rinnovata per credito insufficiente…»
Uhm, buongiorno un cazzo, penso, è pure tardi!
Insomma il classico lunedì. 8.10 e te stai ancora a lava’ i denti con lo spazzolino elettrico che ogni tanto spruzza dentifricio sul colletto della camicia. «Tardi! Tardi! TARDI CAZZO!». Fanculo la colazione, banana take away e via verso Roma Nord.
Eccolo, il 23. Preso: ce la faccio ed è anche quasi vuoto o mezzo pieno, insomma c’è spazio per me e la banana, salvifica colazione al sapor di banandina. Sguardo intorno indifferente.
La tipa carina davanti ascolta musica e non mi guarda, il tipo di schiena… è di schiena, ai lati un ciccione dorme in piedi appoggiando la testa all’obliteratrice («TITOLO DI VIAGGIO NON VALIDO»), ottimo… mordo…
«Aspetta fermate così…» un flash mi blocca in quella posizione buffa: collo proteso in avanti che punta verso il basso, occhiali da sole appoggiati sulla fronte che, causa forza di gravità e stiramento improvviso di sopracciglia, mi ricadono sugli occhi. Un enorme punto interrogativo nel cervello… «mmma ch’stafffàm?» (Provateci voi con la colazione in bocca).
«No, che pezza, l’ho fatta col flash. Vabbè la rifaccio, fermo…» secondo flash che parte nuovamente dal medesimo smartphone nascosto in una cover al silicone che lo dovrebbe far sembrare un coniglio, ma che ad occhio malizioso appare più come un sex toy. «Cheppalle non l’ho tolto» si lamenta la tipetta alzando al cielo lo sguardo scocciato che spicca da sotto una frangia a tendina scalata viola, stesso colore delle sopracciglia tatuate «è che ce l’ho da poco», si giustifica «devo capi come funzionano ‘ste applicazioni nuove» esclama mentre l’unghia, palese monumento alla più abietta e kitsch nails art, fatta di fiorellini al gel dal colore brillante, sbatte ripetutamente contro lo schermo dell’inerme technoggetto.
«Ssshimmà – e mastica! – che stai a fa scusa? Perché la foto?»
«Ah quella? No ti spiego… sono una food blogger e faccio foto ai cibi! Oooh, ecco ho tolto il flash, rimettiti in posa pleeease».
«In posa? Food Blogger? Please?» mi giro in cerca di sguardi solidali, ma giustamente tutto intorno a me si è creato il classico alone da ah guarda, sbrigatela te, a me manco me piace la banana.
«Ma poi scusa, food blog de che? Ma è ‘na banana! Di solito non si fanno foto a piatti elaborati, che so, specialità tipiche… cioè, questa è ‘na banana» e me la stai a fa’ pure suda’.
«Si vabbè che c’entra – mi incalza lei – io ho iniziato ieri la mia attività di microblogging, sto girando a piedi e sei l’unica persona che sta mangiando in questo momento: ergo rimettite in posa come se stessi mangiando la banana e fermati un secondo, tanto è questione di un click che ho capito come funziona ‘st’applicazione».
«La fotocamera?» chiedo stupito.
«Apparte che è Instagram, e so come funziona, solo che ‘sto smart è nuovo e non riuscivo a toglie il flash. Dai mo’ rimettite in posa che poi scegliamo il filtro insieme, ti va?». Che culo…
Me dovevo sveglia prima, fottuto karma, penso. L’odore di banana sempre più pungente, mette a disagio più di qualcuno nel 23, tanto che già nei pressi di Marmorata Vanvitelli, inizio a percepire i primi sguardi d’odio che mi incitano a finire in fretta la colazione. «Vabbè – secondo morso – mmmassoloh p’rchè ho ffame».
«Bravo! Fermo così! – è felice – fatta!! Nooo è venuta mossa, la rifacciamo?? Fermo, fermo, fermo… ma che fai? Ecco bravo l’hai fatta cade’ e mo’ che fotografo?». Benedetto sia il traffico di Lungotevere Aventino e gli scossoni del bus…certo mo’ la colazione è andata… «ma scusami – le chiedo mentre raccolgo la banana che lambisce le scarpe di una coppia tedesca in visita al Vaticano – come mai ‘st’idea del food blog? Come si chiama poi?».
«Che? Ah sì – tra lo svogliato, lo scazzato e l’assente mentre con l’indice smaltato cerca il miglior filtro (ma non lo dovevamo sceglie insieme?) per rendere interessante una posa che d’interessante non ha nemmeno la parvenza – si chiama ’cettaAppetitosa, figo ve’?».
Lo sguardo, alla ricerca di consensi, si stacca dallo schermo e con il bagliore luminoso che riflettono i cristalli liquidi che rendono il verde degli occhi quasi artefatto, tipo menta annacquata, mi guarda speranzosa… «’cetta? Volevi di’ “ri-cetta”?».
Intorno qualcuno sorride sotto il cappello, qualcuno invece si gira infastidito, qualcun altro ascolta musica e non ci caga di pezza, il ciccione ha cambiato posizione ma dorme ancora (chissà se scenderà?): Lungotevere Tebaldi, siamo bloccati tra traffico e un vigile troppo solo e impaurito per essere credibile.
«Vabbè sì, doveva esse’ ricetta – riprende lei come se avesse ritrovato il filo dei pensieri dopo aver lasciato andare la speranza di approvazione che si reggeva su un labile filo – però ho sbagliato a digitare con il dito, ho premuto i primi tasti con l’unghia e non mi ha riconosciuto le prime lettere. Però considera che è una svolta, perché io mi chiamo Concetta, vabbè detta Concy, ma alcune mi chiamano anche ‘Cettina o Cetta… quindi cioè, da paura no?».
Da paura? No, mi ripeto in testa.
Trattenendo il sarcasmo e le ironie nello stesso equilibrio zen che mantiene il ciccione dormiente, nell’assumere un’ aria pseudo impegnata, nei pressi di Largo Fiorentini, provo a giocarmi l’ultima carta per non veder pubblicata la foto che già immagino ricca di hashtag quali #maènaBanana #BanaBus #Bananatime: «ma scusa, stiamo a Roma, una delle città più belle del mondo, il 23 poi passa in posti bellissimi, attraversa il Tevere, si affaccia su Castel Sant’Angelo, s’inchina all’imperiosa Piramide Cestia, si insinua per poi sottrarsi all’abbraccio di San Pietro, lasciandosi alle spalle Via della Conciliazione… e te fai le foto a ‘na banana?»… poesia, penso.
«Embè – con una vocetta che, acuta, frantuma le immagini liriche che avevo cercato di creare a parole – chemmefrega, faccio la food blogger io, mica la travel blogger, bella zì grazie. Ah ti pubblico col Valencia, fa più social» e scende a Traspontina.
Mo’ divento ‘n’hashtag? penso «Ma che ore so’? – esclamo con i rimasugli di banana ancora in mano, chiusi in un fazzoletto – Cazzo è tardi!». Scendo, e il ciccione dorme ancora.