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di
Sabrina Sciabica

 

Una ragazza, appena dopo mezzanotte, aspetta il notturno che la riporterà a casa, a pochi chilometri da lì.
Porta Pia è una bellissima piazza nell’aria notturna, un leggero velo di umidità su quelle mura antiche dà ancora più solennità alla statua del bersagliere che aspetta, da tempi immemori, infiniti autobus.
Si avvicina alla fermata un settantenne.
Capelli bianchi, bombetta nera in testa. Indossa una giacca nera dalla quale fuoriesce una camicia colorata, cravatta bianca. Tiene in mano una busta rossa, con dentro oggetti strani che si intravedono appena, una specie di vischio natalizio, altre buste colorate.
«Mi scusi – chiede distintamente alla ragazza – dovrebbe passare alle 0,50, le risulta?»

Lei risponde: «Eh sì, speriamo».

«E che ore sono, che ore sono?»

Non è la frase, ma le scarpe un po’ lacere sotto a quei calzoni neri ma un po’ corti e quella camicia un po’ troppo vivace, a trasmetterle qualcosa di strano.

Risponde: «Mezzanotte e 40».

«E come mai una signorina come lei a quest’ora ancora per strada?»

«Eh, sono appena stata ad un concerto», risponde ancora lei.

«Ah, io sono stato all’Opera questo pomeriggio!»

Ho visto lo Schiaccianoci, Ciajkovskij. Sa, fanno due turni, alle 15 e alle 21. Io sono stato a quello delle 15 e poi sono andato al bingo».

Qualche istante di concentrato silenzio e riprende ancora più seriamente: «Ma lei lo sa che la storia dello Schiaccianoci deriva da un racconto dell’orrore di Hoffman? Lo schiaccianoci di legno è un regalo di Natale per una bimba ricca e, a notte fonda, si anima e si ritrova a dover combattere contro il re dei topi, con sette teste e sette corone, e il suo esercito di roditori.

Era così cruento che Alexandre Dumas padre dovette riscriverlo da capo per il libretto dell’opera. La protagonista si chiama Clara, come la mia signora; e quindi al nostro secondo appuntamento la portai in teatro e sulla delicata danza della Fata Confetto mi avvicinai dolcemente e la baciai sulle labbra.

Mi disse, anni dopo, che era stato il momento più bello della sua vita. E io non lo dimenticherò mai».

«Bello lo Schiaccianoci!» – dice la ragazza tossendo parecchio.

«Uh – saltella lui allontanandosi immediatamente – Raffreddata? Sa, io sono tenore, non posso permettermi di ammalarmi, mi perdoni se mi sposto leggermente, non è per scortesia, è che devo stare attento per la mia professione! E lei che concerto ha visto?»

«Bossa nova, Jazz, ma anche Paolo Conte e Gino Paoli».

«Ma…. Gino Paoli la musica, non lui!», contesta l’anziano e arzillo signore.

«Certo, la sua musica, non lui» spiega la ragazza in attesa.

«Ma che ore sono, che ore sono?»

«Mezzanotte e 41 minuti».

«Mh, questo N4 è un po’ manigoldo! Eppure a quest’ora non c’è traffico».

«No, per niente, è tutto così tranquillo».

«Sa l’altra volta quanto ci ho messo dal bingo per arrivare a casa? Un’ora ci ho messo! Un’ora! Invece stasera è tutto più libero.
E domani come sarà? Come sarà il traffico? Vede, domani devo andare a visitare un paziente all’ospedale di Porta di Roma. Sa, io sono medico. Ho salvato così tante vite nel mio lavoro, mi ringraziano ancora. Mi capita di fermarmi in auto al rosso di un semaforo e sentirmi dire da un uomo che attraversa la strada “Uh! il Dottore che mi ha operato al braccio”».

«Porta di Roma? Ma è un centro commerciale!» bisbiglia lei confusa… «e poi non ha detto di essere tenore?» e riprendendosi gli dice: «No, no, domani è domenica, tranquillo, non troverà traffico».

E finalmente ecco il bus, in cui saliranno una ragazza divertita dalla fantasia di un distino settantenne e un tenore-medico- giocatore di bingo pieno di vita e di immaginazione.

Fantasiosi discorsi che non stanno né in cielo né in terra, proprio a metà strada, ai surreali incroci di questa meravigliosa umanità notturna.

Chissà come sarà lei, a settant’anni, adesso pensa.

Chissà quante vite avrà vissuto e quante ancora ne vorrà vivere.

Chissà se, come il vecchio con la bombetta nera, ne avrà vissuta una soltanto, una che non è bastata per tutto quello che voleva fare, una che le stava stretta e la obbligava a compiti indesiderati ma necessari.

E allora alla fine del percorso potrà scegliere di vivere con la fantasia le vite più belle, anche se immaginate.

E sarà ballerina classica al Bolshoi, sarà soprano al Teatro dell’Opera di Roma, sarà chirurgo al Campus Biomedico, sarà scrittrice famosa in Francia, sarà reporter di grido in America…o sarà stata semplicemente amata, vedova e mamma di 4 figli. Forse sarà nonna di altrettanti nipoti che, invece di farle prendere un autobus notturno, andranno a prenderla per portarla a casa, dopo una serata passata al bingo, con altri amici un po’ estrosi e un po’ fuori di testa come lei… e come il vecchietto con la bombetta nera.

 

 

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di
Federico Cirillo

 

Freddo. Sonno. Sonno, freddo e poca voglia di vivere: come ogni giorno dopo la domenica, è di nuovo il lunedì più lunedì dell’intera settimana. Potevo rimane a letto, mi inventavo ‘na febbre, un malanno, la tosse, ‘na meningite. Ce credevano pure – sbadiglio – considerando che a Garbatella c’è stato il caso della scuola che…ah il 23. Freddo, pure sul 23.
Quanto è lunga Ostiense stamattina. Ancora dobbiamo affacciarci a Piramide che già c’è un po’ di traffico che blocca la circolazione e dà semaforo verde alle bestemmie. «…man, you’ve got to be sincere…If you’re really sincere (parara) If you’re really sincere (parara) If you feel it in here Then it’s gotta be right Oh, baby! Oh, honey Hug me, suffer… che dicono questi?». Via le cuffie; via Birdie dalle orecchie (peccato mi stavo a fomenta) e via, proiettato nell’ennesima puntata de I cazzi degli altri:
«… che l’ha detto davvero!» chiosa l’anziano con la coppola.
«Ma ne è sicuro?» chiede il ragazzo con il Montgomery blu, aggiungendo «Magari ha sentito male…».
«No, no – rincara la vecchina con due buste in mano – l’ho sentito pur’io, ma tanto io scendo a Piramide, che me frega».
«L’ha detto davero, l’ho sentito bene. È come dice il signore» rincara un omone grassoccio dagli zigomi arrossiti dal freddo e un naso troppo schiacciato che lo rende buffo data la stazza.
«Ma che ha detto? – domanda una ragazza incuriosita, come me, dal vociare insolito e preoccupato.
«Me sa che ha detto… quella cosa, quella dell’Isi» specifica l’anziano con la coppola, abbassando lo sguardo e il tono di voce. Il capannello si scuote – insieme al 23 che si immette sulla sfilza di Lungoteveri – e diventa tutto uno scattar nervoso di teste alla ricerca dell’eventuale ayatollah.
«Ma chi? Chi è stato?» «Oddio mo’ esplodemo»
«Signò ma lei non doveva scenne?»
«E mo’ so’ curiosa de capi’ chi è! Famme un favore giovino’, se sposti un po’ così guardo meglio in fondo, so’ bassina sa…io nun vedo…manco un arabo».
«Ma no, no, non vi fate sgama’… me pare è uno un po’ tarchiatello… scuretto, occhiali da sceicco tipo… parla tutto strano ma quella cosa l’ha detta so sicuro»
«E se se fa esplode davvero?? Che famo??»
«Eh, e che famo? O scennemo o morimo… io però devo arriva’ al Vaticano, mortacci sua, ma proprio sul 23? N’s’è mai sentito su»
«Noo, e quello sicuro – colpo di genio del giovane studente targato Lumsa – se fa esplode al Vaticano cazzo. Sicuro» «Allora scennemo alla fermata prima… così io vado a lavoro tranquillo e famo pure du foto a… no vabbè meglio non pensacce».
«Oddio, oddio… – la ragazza adesso è bianca come un cencio – l’ha ridetto, ad alta voce, al telefono… l’ho… l’ho sentito bene. Fatemi scendere… accosti – bussando sul vetro dell’autista –accosti».
«Sì, scendo anche io, non voglio mori’ sull’atac, già è ‘na bara nei giorni normali, figurati se la voglio come ultima immagine».
«Sì, andiamo e fammi di’ su facebook che sto bene, sennò si preoccupano».
«Su che?».
«Su facebook signo’, il social che…» e scendono ad uno degli innumerevoli lungotevere.

Mi giro e mi guardo intorno. Il 23 si è svuotato, c’è pure posto a sedere. Intanto dal fondo un uomo tarchiato, scuretto di carnagione, ampie e folte sopracciglia e dei Rayban neri, concitato parla al telefono mentre si avvicina alla porta del bus. L’attentatore, l’ayatollah! penso e adesso ce l’ho davanti e riesco ad ascoltare perfettamente la sua voce, la sua cadenza e il suo tono: «…allà, t’aggia ritt’ allà! ALLÀ A’O BBAR ce verimm uagliò, quante volte te l’aggia spiega’?» e preso dalla stizza di chi non riesce a farsi capire al telefono, Salvatore Ascione, docente di letteratura anglo americana alla John Cabot University, originario di Ercolano, scese con passo svelto ostacolato dal lungo giaccone nero.

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di
Stefano Pupazzi

 

Amiamo Tutti, Anche i Colorati. Confesso che all’inizio non avevo capito il senso dell’acrostico, ma ero almeno riuscito a metterlo in relazione con l’altro, Colorati Ovunque, Tutti RAgazzi del Lazio, letto di sfuggita sulla fiancata di un pullman diretto a Colleferro. Tutto è diventato chiaro qualche giorno fa, quando, in procinto di salire sul 20 al capolinea di Anagnina, ho sentito una voce premurosa che diceva

«ma cosa combina? Sale insieme ai negri?»

Stupito, mi volto e vedo un controllore venirmi incontro trafelato.

«Signore, Lei è davvero distratto…meno male che ci sono io a controllare!» mi fa.
«A controllare cosa? E poi chi sarebbero questi negri, di grazia? Ancora usiamo la parola negri? Ma non si verg…»

«Aspetti, aspetti: Lei mi ha evidentemente frainteso… per di più, signore, debbo constatare che non è al corrente delle nuove disposizioni… ma mi lasci spiegare. Le due maggiori aziende della mobilità autoferrotranviaria hanno da poco inaugurato le cosiddette linee N, dedicate esclusivamente al carico e alla tratta di negri e altre razze colorate…»

«cosa?? Sto sognando, vero?»

«Ma no, no! Tutto ciò è finalmente realtà! Linea N, come avrà capito, sta per linea Negri; si tratta di una linea che accoglie questa povera gente in modo tale da farla sentire a casa, senza la presenza (un po’ imbarazzante, diciamola tutta) di noialtri normali. Ma non è solo questo il punto: di fatto, con queste nuove linee, si sono risolti diversi altri problemi. Intanto, gli autobus non sono più così affollati, essendo aumentato il numero delle vetture: vorrà ammettere che questo è un bene»

«sì, ma…»

«suvvia, mi lasci finire. È stato poi risolto il problema dei furbetti del biglietto, e ciò con poche e semplici precauzioni. Intanto, quella più ovvia: la selezione naturale, per così dire, al momento della salita a bordo. Un negro e un bianco li distingui subito, no? Ebbene, le linee N possono caricare solamente i negri. Questi ultimi, poi, sono ormai quasi tutti forniti dell’abbonamento vitalizio “dalla pelle al cuore”; al momento dell’ingresso devono infatti mostrare il numero di abbonamento marchiato a fuoco all’altezza del polso»

«ma che diavolo sta dicendo! Lei… Lei…»

«ecco, lo sapevo; di nuovo ci accusa senza capire…e invece io Le dimostro che i tecnici hanno pensato a tutto, escogitando una soluzione finale che avesse come obiettivo il bene di questa gente. Come Lei saprà (perché Lei lo sa, vero?), è dimostrato scientificamente che le razze non bianche hanno una memoria labile e, insieme, una certa faciloneria che le spinge a inopinate trascuratezze…come ad esempio quella di scordare a casa biglietti e abbonamenti. Con il vitalizio “dalla pelle al cuore” è stato risolto anche questo problema…e Lei dovrà concedere che assicurarsi il pagamento dei clienti, per un’azienda di trasporti, significa avere una maggiore efficienza e garantire un servizio migliore al cittadino. Quanto ai negri, poi, non corrono più il rischio di beccarsi una multa salata! Come vede, la soluzione finale accontenta tutti…a meno che Lei non voglia negare i vantaggi di tale soluzione: in questo caso sarei curioso di sentire le Sue proposte per il risanamento dell’azienda e per la risoluzione di certi problemi ormai atavici…»

«no, ecco…non avrei particolari proposte…e poi, se mi dice che ci hanno pensato dei tecnici…però una cosa non la posso far passare: la parola “negro” sdoganata in questo modo…»

«allora Lei non ha colto la filosofia che sta dietro al progetto! Vuole che quella gente capisca se usiamo perifrasi come “diversamente bianchi” o amichevoli epiteti del tipo “bruschette”, “cioccolatini” e via dicendo? Consideri che la mediazione culturale ha come presupposto la reciproca comprensione e quest’ultima deve basarsi su una lingua semplice ed efficace»

«mi scusi… non avevo capito…La ringrazio per la spiegazione e Le auguro una buona giornata».

Stamane ho rinnovato l’abbonamento: in omaggio mi hanno dato una spilla che raffigura un cuore con intorno la scritta Amiamo Tutti, Anche i Colorati.

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di
Giulio Calenne

 

L: «Attento che mo’ la porta si apre dall’altro lato».

(bip bip) Entra una vecchietta, un comunitario extra e un liceale. Esce rumena carina.

M: «Grazie, mi ero distratto».
L: «A che stai a pensa’?»
M: «A niente…»
L: «Sempre a Camilla?»
M- «Ma no no.»
L: «Stai ancora a rosica’?»
M: «Ahò t’ho detto de no».
L: «Vabbè o scusa, t’eri imbambolato».
M: «Stavo pensando alla Metro».
L: «A che?!»
M: «Alla Metro come luogo dove si perdono continuamente delle storie».
L: «Me sa che era meglio Camilla… Tutto bene?»
M: «Ahò pensaci, ogni giorno passiamo circa 10-15 minuti sul treno a non fare praticamente nulla».
L: «Eh?»
M: «E nel frattempo, magari mentre ascoltiamo un po’ di musica o ci facciamo gli affari nostri, osserviamo chi ci è attorno cercando di capire qual è la sua storia. Guarda quella donna sui quaranta ad esempio. Bel fisico asciutto, scarpe con i tacchi, vestitino raffinato, borsa Gucci e occhiali da sole (in metro). Per me se sente ‘sto cazzo. Magari sta pensando che schifo questi poveri, dovrebbero aumentare il prezzo del biglietto. Sicuro è nata in una famiglia facoltosa ed ora è la dirigente di chissà quale azienda. E il marito la tradisce con la sua migliore amica».
L: «Io ‘na botta ja darei».
M: «Sì vabbè pur’io. Però che ne poi sape’ di quella? Magari ha gli occhiali da sole per coprire un pugno, magari si veste bene ma non c’ha ‘na lira, o forse va a trovare l’amante».

(bip bip) Entra uomo con baffi folti. Esce ragazza asiatica.

L: «Ahò ammazza che baffi! Quello sicuro è un buongustaio, perché si sa: di birra e di…»
M: «Lo vedi! Lo fai pure te!»
L: «Sì ok ma che c’entra con il perdere delle storie? Uno immagina e basta».
M: «C’entra eccome invece! Perché ogni volta che qualcuno o qualcuna scende dal treno si perde inevitabilmente la possibilità di conoscere il suo racconto. E a me ‘sta cosa me fa impazzi’!»
L: «Vorresti chiedere a tutti la loro storia?»
M: «Perché no?! Pensa che bello scoprire che quella darkettona là seduta si commuove ogni volta che vede La Bella e la Bestia. O che quel bangla appoggiato lì alle porte veniva preso in giro da piccolo perché voleva fare il supereroe».
L: «Er bangla supereroe della notte. Già ce sta. Vabbè e quindi?»
M: «E quindi niente, è inevitabile. Sul treno continueranno incessantemente a scendere e a salire racconti di cui non sapremo mai nulla. E boh, forse è meglio così».
L: «Possiamo sempre immaginare».

(bip bip)