Ricercar a 3

di
Matteuccia Francisci

 

È buio sulla banchina del 3.
Ho freddo.
Perché le riunioni di lavoro durano sempre più del doppio di quanto programmato? Una volta qualcuno mi ha detto: «Lo sforzo di impedire a tutte le cazzate proferite nelle riunioni di penetrare nel tuo cervello, ti fa uscire stremato».

Sono stremata, e il tram non passa. Mi accendo una sigaretta, nella speranza che sia vero quello che si vocifera: l’azienda di trasporto pubblico romano utilizza scientificamente i mezzi pubblici come strumento di disincentivazione al fumo, facendoli passare esattamente quando hai acceso il bastoncino fumante (dopo un’attesa di svariati minuti in cui ti sei chiesto: che faccio, me l’accendo?).
Taac! Ecco il tram, ogni volta che lo vedo mi ricorda un bruco, non posso farci niente, uno di quelli “modulari”, con i peli, che fanno senso e hanno fascino allo stesso tempo. Porta davanti, così a Manzoni sto più vicina all’incrocio (“working for the rat race, you know you are wasting your time”).

Dentro: puzza.

Sai che novità. La solita umanità depressa e deprimente, china sui suoi strumenti tecnologici all’ultima moda e all’ultimo stadio dell’isolamento. Do loro le spalle e guardo il solito paesaggio fuori dalle porte. La solita Porta Capena, il solito Celio. Roba da lacrime agli occhi,  anche solo a pensarci che passi in mezzo a queste cose dopo migliaia di anni. E invece niente, solo scroll down, faccine e QQ.

«Aiuto, aiuto, liberatemi!» sento alla mia sinistra. C’è una ragazza, con una fascia viola in testa molto alternativa e le cuffiette, che guarda con sguardo assente fuori dal finestrino, una signora anziana che parla al telefono, due pischelli che scrollano down come se non ci fosse un domani, un cingalese e un signore con un cappotto grigio scuro di ottima fattura e una cravatta gialla stile Galliani. Nessuno sembra in pericolo.

«Aiuto, fammi uscire fammi uscire fammi uscireeeeeee!» sento ancora più acuto e disperato. Le figure umane sono tutte immote, però. Ho le allucinazioni sonore (paura), sento le voci (più paura) oppure percepisco voci da altre dimensioni (meno paura)?
Il battito mi si è un po’ accelerato, sono sicura di averlo sentito, ma intorno a me sono tutti mezzi morti come sempre sui mezzi pubblici.

L’unico che sembra vivo è un gatto dentro il trasportino, che mi guarda fisso.

«Fammi uscire! Ehi dico a te, fammi uscire da qui!» sento stridere da là dentro. Sì, proprio da dentro il trasportino.

Paura.
Sento parlare un gatto?

Ok, ho sempre detto che sapevano parlare la lingua degli umani ma non ci credevo davvero. Ma che siamo matti? No, mi sa che l’unica matta qui sono io…

«Ma quale matta, lo so che mi senti! Fammi uscire da qui perdiana! Questa pazza mi ha chiuso qui dentro, sono in pericolo di vita!» sento provenire dalla scatola di plastica mentre la ragazza con la fascia gli dice: «Tranquillo, Romeo, va tutto bene».

«Tranquillo un cazzo! E non mi chiamo Romeo, ‘fanculo a te e a questo nome del cazzo! Fammi uscire, cretina! Ehi, tu, aiutami!»

Non può essere vero.

«Sì che è vero, dài, aiutami!»

Ma che, sente i miei pensieri?

«Certo che sento i tuoi pensieri, per favore aiutami. Sappiamo tutti chi sei, hai detto che se ti avessimo parlato avresti mantenuto il segreto. Adesso aiutami, la pazza mi ha intrappolato, vuole sicuramente uccidermi!»

No che non vuole ucciderti, ora te lo dimostro.

«Bello il tuo gatto» dico alla ragazza-fascia. «Poverino, è spaventato, dove andate di bello?»

«Lo riporto al gattile, l’ho preso un mese fa ma è ingestibile. Sporca dappertutto, miagola in continuazione. Il mio ragazzo mi ha detto che se non lo riporto dove l’ho preso… beh, tu capisci… ho dovuto scegliere.»

«Hai capito, ora? Sporco?! Mi ha messo una cazzo di bacinella con una cosa tutta molliccia dentro, dice che è riciclabile, ma io non riesco a scavarci dentro. Miagolo? Ti credo! Loro puzzano, io voglio uscire da quella casa, e questa matta mi sta portando di nuovo in galera. Aiutami ti prego, aiutami!»

«Beh, certo capisco» rispondo alla ragazza-fascia. Capisco che sei una povera deficiente.

Il gatto mi guarda, io lo guardo.

Fermata Manzoni, si aprono le porte. Scende la vecchia e il signore del cappotto. Sulla banchina una signora con un passeggino aspetta per entrare.

Ce la posso fare.

Afferro rapidamente il trasportino e scendo con un salto, dietro di me sento: «Ehi, il mio gatto, fermatela, quello è il mio gatto!» e subito dopo «Ma che fa?! Aspetti, c’è un passeggino!».
Le porte si chiudono, il tram scampanella per segnalare che sta partendo a quelli che vogliono attraversare quando non potrebbero.

Io e il gatto ci guardiamo e ci diciamo: i gatti non sono di nessuno.

«Piacere, mi chiamo Coda Corta» miagola lui.