Metro B – Normali

di
Federico Cirillo

Illustrazione di Flavia Cuddemi

 

«Posso?».

Chissà se sono rimasto uno dei pochi a farsi ancora lo scrupolo di chiedere, prima di sedersi.
Questo penso, ma la signora grassottella, intenta a trovare combinazioni di caramelle e dolciumi sullo schermo del suo smartphone palesemente d’annata un po’ rigato, non mi degna di uno sguardo.
“Bene” mi dico tra me e me, e facendomi spazio tra un Samsung e un Huawei prendo posto sul treno che da Tiburtina mi porterà a Piramide.

Certo checcazzo, mi ripeto con un lieve senso di sdegno e di fastidio, tutti co ’sto telefono in mano…che sta a fa’ questa? Eh, come te sbagli, facebook! Esclamo dentro di me mentre un occhio mi cade sul display alla mia sinistra.
Ma che è?! Il video di una ripresa fatta da una go-pro messa in testa a un cane: se vedono solo muri e alberi.
Osservo, guardando con aria interrogativa e pensosa, il quattordicenne dall’espressione inebetita che mi siede accanto.
S’ode a destra uno squillo di Facebook, a sinistra risponde un WhatsApp, mi ripeto in testa volgendo lo sguardo prima da un lato e poi dall’altro.
Davanti a me, intanto, si susseguono una serie di selfie irritanti che ritraggono due ventenni pronte per il pre-workout in palestra. Pre-workout di selfie, ovviamente.

Mah, fammi legge qualcosa, mi dico, e, mentre prendo dallo zaino il solito libro che mi accompagna in metro/autobus/tram/aereo/treno, decido che per isolarmi dal rumore dei tasti cliccati dal tizio in piedi davanti a me, devo assolutamente mettermi le cuffiette.
È la sera dei miracoli fai attenzione/ Qualcuno nei vicoli di Roma/ Con la bocca fa a pezzi una canzone

  • CASTRO PRETORIO, PROSSIMA FERMATA CASTRO PRETORIO USCITA LATO…

che si fottano tutti, e sospirando quest’ultimo estremo anelito contro il capitalismo, crollo nel mio mondo.

Non trascorrono 5 minuti che, nello spazio creatosi tra il libro e le ginocchia, dove ho appoggiato il cellulare che trasmette la mia musica, noto una mano. Veloce, con le dita dalle pellicine mangiucchiate al par delle unghie, prova a tirare a sé lo smartphone, togliendomi le cuffie e facendomi urlare: «A testa de cazzo!» esprimendo con tutto il bon-ton un disappunto percepibile.

«Ma che, me stai a frega’ il telefono??» domando, alzandomi di scatto, al biondino magrolino che, accovacciatosi, provava il colpo.

«No, no, aspetta amico – mi fa lui tra il sorpreso e l’impaurito – non è come credi. Cioè, ok sì, te volevo fa’ il telefono, lo ammetto, ma non credevo che stessi attento, non credevo fossi… strano, insomma. Pensavo fossi come gli altri. Credevo fossi normale e che non te ne accorgevi. Capito, no?».

«No – rispondo incazzato – macheccazzo stai a di’? Me stavi a frega’ il telefono e te stai pure a giustifica’?».

Si alza, il ragazzo, mostrando in realtà un viso non cattivo. Una faccia appuntita, nascosta da un cappello di lana fuori stagione e dai capelli color cenere che, a ciuffi, gli sovrastano la fronte che presenta un paio di cicatrici. Intorno a me non è successo nulla, tutto è come prima: tutti si scaldano alla luce dei loro smartphone.

«Sì – riprende lui – aspè, non te incazza’. Ok, m’hai sgamato, tieniti il telefono, ci mancherebbe. È che qui lo facciamo sempre, guarda – indicandomi da una parte e dall’altra altri tre ragazzi intenti a sottrarre, con naturalezza, i dispositivi elettronici dalle mani dei passeggeri – loro neanche se ne accorgono, e non te ne saresti accorto neanche te se fossi stato normale. Ma che stavi a fa’?».

«Leggevo» rispondo sbigottito più dall’affascinante scenario che mi si presenta attorno che dalla domanda del tipo. «Leggevo un libro» ripeto inebetito e quasi balbettando «Ma… possibile che nessuno se ne accorga?».

Dopo una fragorosa risata, reazione immediata alla mia domanda, il ragazzo mi fa: «Ma te sei proprio strano davero. A parte che, ’ndo vivi? Che, se legge così? Senza manco un tablet? Mah, me fai taja’ – accompagnando il tutto con una pacca sulla spalla – serio. Ma accorgersi di che? Ma come fanno ad accorgersene? Stanno concentrati! Poi questa è ’na mossa rapida: se chiama “sfila&metti”, guarda, te ’mparo io».

Nel tempo di un tumulto di binari il Samsung della signora cicciottella in cui si stanno accatastando caramelle e amenità varie ora è tra le mani svelte del tipo.

La signora, al posto dello smartphone, regge un volantino di una gelateria sulla Tuscolana.
Senza rendersene minimamente conto, continua a scorrere il dito, provando a far allineare i vari gusti dai diversi colori.
«Visto? – mi fa soddisfatto – il segreto è avecce sempre qualcosa che non contrasta troppo con quello che sta a fa’ il tipo o la tipa. A quella, per esempio – mi indica una tizia bloccata su una foto di Instagram – j’ho messo in mano una foto del gatto mio, so’ 10 minuti che sta a cliccacce sopra pe’ mette un cuore. Ah e… lo vedi quello? – e me lo indica rivolgendo lo sguardo al ragazzo del video su facebook che adesso in mano ha un depliant scolorito che ritrae la street art a Roma – ’sta settimana è già la seconda volta che je faccio il telefono. Tanto domani, appena ha realizzato, vie’ da me e se lo ricompra: co’ questo me ce pago le vacanze st’estate, di sto passo».

Incredibile.

Nel breve volgere di cinque fermate tutti, nel vagone, non hanno più tra le mani i loro smartphone, i loro  tablet, i loro ipoddofoni, smartophoni e tutta l’intera vasta gamma di touchettofoni che popola questo universo mondo i-tech.
Chi osserva attentamente un santino in attesa che il “video” riparta, chi struscia il dito su un volantino, chi fissa immobile la foto di un cane dallo sguardo interrogativo o di un parente di uno della “banda” e chi, infine, chatta digitando tasti su un telefono di gomma che ad ogni pressione emette un sibilo acuto e sfiatato.
“Assurdo” penso, sgranando gli occhi immobile, come se il mix di sorpresa, meraviglia e stupore avesse all’istante ghiacciato me e tutto ciò che mi circonda.

Guardandomi intorno, stringendo nelle mani il telefono e il libro, noto che i tre, con il loro bottino, si avvicinano all’uscita, parlottando tra loro: «Tranquillo – mi fa il biondino – tanto prima di mezz’ora/un’ora non se ne rendono conto: è tutto cronometrato, al capolinea se svegliano. E tu – strizzandomi l’occhio – non fa’ cazzate: leggi, che è meglio. Non sarai normale, ma sei un tipo simpatico. Ciao, grande!» e con un balzo è già fuori a Garbatella.
Garbatella. Cazzo! Dovevo scende pure io! Impietrito e ancora scosso, lascio che il treno compia tutto il suo tragitto.

Intorno a me, tutto è normale e scorre.

Normale.