di Silvia Cestoni
Di famiglia di origine nobiliare, proveniente dalla toscana ma trapiantata a Roma, Ottieri nasce e si forma proprio nella capitale e, almeno inizialmente, aderirà al partito fascista.
Questa esperienza è raccontata nel suo primo romanzo “Memorie dell’ incoscienza”, del 1954.
Sarà poi la guerra a portarlo alla maturità. Lascia Roma e la sua casa da borghese privilegiato e se ne va a Milano, in cerca di lavoro nell’industria, come operaio.
Qui si avvicina a gruppi sindacali e politici, per poi iniziare a lavorare nella fabbrica di Olivetti ad Ivrea.
È proprio lì che Ottieri si rende conto che l’attività politica e sindacale non è sufficiente per “andare verso la classe popolare“. Nel romanzo egli racconta proprio questa sua incoscienza giovanile oltre al suo superamento.
Scriverà poi anche una sorta di diario, “Taccuino industriale”, pubblicato in parte sul numero del “Menabò” del 1961, dedicato tutto a letteratura e industria. Del 1957 è “Tempi stretti”, mentre del 1959 “Donnarumma all’assalto”, due romanzi molto diversi tra loro.
Tempi Stretti (1953)
Ottieri, sposa la figlia di Bompiani e con il suocero pubblica il suo romanzo industriale, “Tempi stretti”, in cui racconta il lavoro in fabbrica (una metallurgica e una tipografica).
Scritto tra il 1953 e il 1955, pubblicato nel 1957, riesce con Einaudi nel 1964 dove una nota dello stesso autore dice che “non esclude di poterlo riscrivere”.
Romanzo dotato di una forte componente descrittiva-saggistica, la cui narrazione si apre con il gennaio 1950, nel corso di una riunione sindacale all’inizio dello sviluppo industriale a Milano. Il protagonista è Giovanni Marini, che richiama un po’ il percorso di Ottieri dall’incoscienza alto-borghese giovanile alla coscienza politica della scelta di vita di lavorare in fabbrica.
Le fabbriche citate sono due: la Alessandri, azienda tipografica familiare e artigianale, basata sulla produttività e la competenza operaia (in crisi), dove lavora il protagonista, e la Zanini, grande industria metallurgica in cui lavora Emma, la protagonista femminile. I due si incontrano a casa di Paolo, un uomo che li ospita dietro un pagamento di una pigione. Nasce dall’incontro un amore difficile.
Gli anni Cinquanta sono quelli del passaggio dalle piccole aziende alle grandi concentrazioni industriali (dal modello della Alessandri alla Zanini rimanendo nello schema narrativo del romanzo) con fabbriche che, trasformandosi, cercando di ricalcare il modello americano.
Nel romanzo emerge, da un lato, un’immagine del “capo-padrone” che mantiene un rapporto diretto con gli operai, ma predilige l’aspetto economico rispetto a quello umano: non licenzia, ma non ammette neanche errori né attività sindacali.
Ben diversa la situazione della Zanini (la fabbrica concorrente), organizzata con la presenza di tanti padroni e l’assenza di un rapporto diretto. Ottieri mette per iscritto dunque il momento del passaggio di trasformazione dell’industria: l’aumentare della produzione, man mano che gli operai si impratichiscono, porta il capo reparto a studiare e analizzare dettagliatamente i tempi e, in base a quanto si produce, avviene un cambia di stipendio. Ciò provoca un’ansia da produzione e frenesia negli operai con i tempi che diventano sempre più stretti e che alimentano incidenti, l’alienazione e l’angoscia.
Il tempo libero è un altro tema trattato da Ottieri: è misero, soprattutto per Emma, la protagonista femminile, che esprime l’amore in luoghi squallidi e conserva in sé una speranza di miglioramento che si riduce tutta nella “fuga” verso il matrimonio: quasi un ritorno ad una condizione pre-industriale.
La delusione permea il protagonista femminile ed Emma rappresenta appieno quella “tristezza operaia da cui guarire con la partecipazione politica”.
A confronto
È possibile fare un confronto tra questo romanzo e “Tre operai” di Bernari nel quale, ad esempio, torna il tema triste della domenica. Anch’esso è come in Bernari, un romanzo di formazione. dove il punto di vista prevalente è tra narratore esterno, emergente nelle descrizioni, e l’interiorità dei personaggi.
C’è un duplice piano tra ciò che si dice e ciò che si pensa e l’interiorità di Emma viene fuori tramite la narrazione e il discorso indiretto libero.