di Cristi Marcì
Illustrazione di Anastasia Coppola
Vienna, 1938. Samuel Adler è un bambino ebreo di sei anni il cui padre scompare durante la Notte dei cristalli, quando la sua famiglia perde tutto. La madre, per salvarlo, lo mette su un treno che lo porterà dall’Austria all’Inghilterra. Questa la trama di “Il vento conosce il mio nome”, il romanzo dell’Allende per chi non ha mai smesso di sognare un futuro migliore.
Per chi desidera fare i conti con le leggi del tempo
Se è vero che le sue lancette sembrano scorrere inesorabili verso mete a noi del tutto sconosciute, di contro gli strani tesori di cui dispone sono sempre pronti a depositarsi sul nostro essere, facendo del corpo e della memoria due bussole impazzite che rischiano di farci perdere la rotta.
Rotta che tuttavia, pagina dopo pagina, assume le sembianze di una nuova mappa tutta da scoprire, da leggere e rileggere più volte e sulla cui superficie la parola fine non è ammessa, poiché costretta a lasciar fiorire la sola ed unica capace di coniugare più trame possibili fra loro intrecciate e che, al pari del vento, viaggiano invisibili sotto il nome della speranza.
Il valore della storia
Ambientato in epoche storiche tra loro differenti, dalla notte dei cristalli avvenuta nel 1938 sino al 2022, l’Allende consegna al suo pubblico un valore mitico se non addirittura eterno, che soltanto la storia è in grado di incarnare in tutte le sue imprevedibili sfumature e dinanzi alle quali l’amore e il prezzo della vita non conoscono confini.
Perché oltre ad essere un romanzo dove il riscatto e l’abbandono riflettono i capisaldi delle vite dei protagonisti, l’autrice attraverso l’inchiostro delle sue parole, denuncia le vicende legate al traffico di esseri umani, che dal centro del Sud America si estende sino ai confini degli Stati Uniti.
Il romanzo traccia una mappa che troppo spesso scegliamo di non voler vedere e lungo la quale il dolore e la violenza rischiano di valorizzare la nostra indifferenza. Crea, a nostra insaputa, una striscia geografica lungo la quale una moltitudine di vite viene prontamente spezzata al passaggio di chi fa dell’umanità stessa il proprio guadagno e dove la morte è il più grande prezzo da pagare.
Storia di sradicamenti
La morte, d’altronde, è l’unica in grado di rimettere in moto la logica della sopravvivenza così familiare a chi è costretto ad abbandonare la propria casa, i propri affetti e non ultimo le proprie radici: le stesse che Samuel, Leticia e Anita (i tre protagonisti) si troveranno pagina dopo pagina a dover estirpare, pur di ritrovare quel luogo sicuro che li attende oltre il confine.
Quanto il presente e il passato possono condividere una drammatica somiglianza? La posta in gioco non si riduce ad un semplice riepilogo di eventi realmente accaduti, bensì chiama in causa una semplice domanda: quanto ancora può accadere?
Perché questo non è un semplice romanzo ma una scomoda inchiesta che non vuole farci perdere di vista quella crudeltà che l’essere umano a più riprese è stato in grado di commettere.
Eppure, ciò che più affascina del romanzo è la descrizione di un luogo ed un tempo dove il dolore non trova il suo spazio. Un posto che soltanto il linguaggio dell’immaginazione è capace di farci raggiungere, adornato di quel mistero che né la ragione né i ricordi sono capaci di scalfire, tantomeno di demolire nelle sue fondamenta. Spetta a ciascuno di noi riscoprire quel posto attraverso quel linguaggio del cuore che l’autrice propone con parole nuove e al contempo invisibili, pronte a raggiungerci al primo soffio di vento.