Il cambio a Termini

di Davide Paciello

Illustrazione di Eleonora Loiodice

Avevo appuntamento con un amico.
Per raggiungerlo dovevo fare il cambio a Termini.
Nulla di particolarmente strano e difficile per questo sono sicuro che nessuno di voi potrà credermi.

Alla fermata Termini la folla, come massa informe, spingeva per entrare, mentre da dentro si spingeva per uscire. Non ero più abituato al contatto con tanti estranei per cui, per prima cosa cercai un’aria dove prendere fiato e capire che direzione prendere.

Per quanto credessi di seguire la via giusta continuavo a sbagliare rischiando varie volte di uscire dai tornelli senza aver fatto il cambio. Nel frattempo la massa mi spintonava dandomi la sensazione di essere trascinato dalle onde. Ero in ritardo e la frustrazione per la direzione sbagliata e l’impossibilità di avvisare mi misero in agitazione.
Dovevo calmarmi, evitando un attacco di panico.
Fu così che mi rintanai in un angolo dove poter respirare lentamente.

Un signore anziano si avvicinò e mi disse: «Mi scusi, si sente bene? La vedo agitato».

Guardo quest’uomo basso con il viso scavato dalle rughe e un cappellino rosso in testa.
Mi ricordava mio nonno che coltivava l’orto e allevava galline.

«Mi sono perso» dico. «Non vengo a Termini da un po’. Devo prendere la linea A direzione Anagnina». «Ah, ma non ci vuole nulla, ti accompagno io, sto andando in quella direzione».
Faccio un cenno col capo e seguo il signore anziano.

Non so dire quanto camminammo né che strada facemmo e ora come ora non saprei in alcun modo ritornare nel luogo dove mi portò.

Il labirinto di corridoi e scale si stava dipanando davanti a me mentre l’uomo procedeva con passo lento, ma sicuro. Restammo in silenzio tutto il tempo e il percorso che scelse era meno affollato, forse per questo notai che uno per volta si stavano aggiungendo degli sconosciuti.

«Siamo quasi arrivati» disse d’improvviso il vecchio. «Guarda» e indicò un cartello dietro me che indicava la direzione per Anagnina «la tua strada va in quella direzione». C’erano una decina di persone con la testa abbassata, che si erano messe dietro all’anziano, mani incrociate all’altezza del pube e gambe leggermente divaricate.
«Noi altri, invece, andiamo di là» continuò il vecchio indicando una porta e come puntò il dito il gruppo si avviò verso la soglia.

Li continuai a fissare mentre il vecchio mi osservava. Ero curioso, ma quando aprirono la porta per entrare sembrava ci fosse solo una stanza buia.

«Ho lavorato tanti anni qui. Conosco molto bene questo posto». Disse il vecchio: «L’ho visto trasformarsi. Posso dire che io, qui, ci abito proprio». Continuo a guardare la porta, ma senza perdere di vista il vecchio. «Vuoi sapere cosa c’è dentro. Se te lo dicessi non ci crederesti. Vuoi scommetterci?».
Annuisco col capo, ma sono catturato da quella porta e non riesco a distogliere lo sguardo.

«C’è un angelo. Ho catturato un angelo».
A quel punto lo guardo perplesso.
Era tutto così folle e improbabile che in quel momento pensai che potesse essere anche vero.

«Visto? Non mi stai credendo. Non mi stai credendo davvero. Tu vuoi vedere oltre la porta, vuoi superare l’uscio. Vai, vai a vedere. Ma non vedrai nulla, per ora».
Corro ad aprire la stanza e trovo uno sgabuzzino con scope e carrelli per pulire.
«Ahahah» ride il vecchio con fare sincero, «Ti prendevo in giro. Vai, non perdere il treno, sei già parecchio in ritardo per il tuo appuntamento con Pablo», disse e mi salutò con un cenno della mano.
«A-arrivederci» balbettai.
«Arrivederci» mi rispose e andò verso la porta, mentre io correvo verso la metro.

Era quella giusta ci ero arrivato sul serio e il treno era in arrivo.
Tuttavia continuavo a pensare: “Come fa a sapere dell’appuntamento? E di Pablo?!”.
La metrò arrivò e si aprirono le porte.
“Dove sono finite tutte quelle persone?”.
Le porte si chiusero, ma non presi la metro.

Corsi indietro e tornai davanti la porta.
Misi la mano sulla maniglia e sentii venire dalla stanza un suono di voci bisbiglianti la stessa cantilena. Aprii piano uno spiraglio e cercai di guardare dentro.
Mi sporsi di più e infilai la testa. Vidi le persone in cerchio intorno ad una sfera bianca. Guardai con attenzione, la sfera era sospesa in aria e una catena scendeva in un pozzo sotto di essa. Mentre guardavo rapito la sfera si schiuse, capii che era fatta di piume. Le persone smisero di vocalizzare. Le ali si dispiegarono, erano tre paia e allora vidi un grande occhio al centro che puntava su di me. Il terrore mi avvolse spezzandomi il fiato. Dalle ali spuntarono mille altri occhi puntati nella mia direzione e anche gli adoratori presero a voltarsi verso di me.
Chiusi la porta e corsi lontano.

Ripresi la strada per la metro.
Era appena arrivata, spinsi per entrare e rimasi fisso a guardare le porte.
Il tempo che ci misero a chiudersi mi sembrò infinito.
Il cuore martellava nel petto. Quando le porte si chiusero vidi alla banchina il vecchio.
Si tolse il cappello e lo agitò per salutarmi.
Il labiale diceva: “A presto”.