di
Arundo Donald
Nel breve tratto di strada il metabolismo urbano produceva e consumava una notevole energia.
Affollate vetrine, incalzanti mendicanti vestiti abbondanti, bambini, anziani, tutti concorrevano nel gorgoglioso ribollio natalizio.
“Proprio oggi che è Natale”, pensò Marco scrutando attento la strada e spostando con la mano il grasso dalla fronte fin sopra i capelli.
La fermata era gremita di figure. A Roma d’inverno in un attimo è notte, e così, improvvisamente, tutti si ritrovarono avvolti dalla sera. I lampioni coloravano i grandi palazzi e le persone, accecate dal caldo carosello, spasmodicamente diventavano falene.
Lontano apparve un autobus. Marco sperò che fosse il suo. Andava per uno. Pensieroso lasciò cadere il corpo contro il vetro che delimitava la fermata sentendolo tremare. Prese una mezza cicca e la riaccese. Poi la fece ruotare tra le dita e per un attimo fissò il filtro annerirsi sotto la carta.
“Pesci storditi” pensò, rivolgendo lo sguardo alla massa abbagliata e sempre più frenetica.
Adorava i pesci, li trovava umani.
Pensò che avrebbe fatto tardi alla cena. Questa volta aveva dato la sua parola.
Come arterie, sottili tappeti rossi disegnavano i marciapiedi ripuliti e un fiume d’insegne luminose minacciava scorrendo i primi piani dei palazzi. Una goccia sfiorò il viso di Marco concentrato. Intorno a lui diversi ombrelli avevano fatto capolino aprendosi alla sera.
“Ci mancava anche la pioggia”, pensò. Poi fu un attimo.
Le gocce s’infittirono e cominciarono a bagnare ogni cosa, non risparmiando le persone ammucchiate alla fermata. La strada fu violentemente svegliata, le vetrine si svuotarono assieme ai lunghi marciapiedi. Le falene erano sparite.
Marco fece caso al rumore che la pioggia produceva, agli odori che riportava al naso e ai suoi capelli bagnati. Il “92” era arrivato, aveva fatto Tombola!
Mentre l’autobus, pieno da far schifo, svelava una calca straziata, la gente dalla strada spingeva e imprecava. Travolto da un denso fiume, Marco fu trascinato a bordo.
“È fatta”, pensò.
Ora anche lui era paralizzato quasi da non muovere il diaframma. Nel bel mezzo regnava il silenzio. La spessa condensa e le persone collose ne temperavano l’ambiente interno e in quel microclima tutti vivevano il medesimo supplizio.
“Pesci Neon” pensò. Allevati in cattività, con luci artificiali e in spazi troppo affollati, quei pesci sono più soggetti alla morte, più restii all’accoppiamento e meno abili nel procurarsi il cibo.
Le vetrine, gli affollati marciapiedi, gli autobus, gli uffici. “Che fosse questa la stupidità della gente perbene?”
Mancavano quattro fermate ancora e sarebbe arrivato a casa. Marco era provato, voleva sedersi e respirare aria pulita. Voleva poter muovere le braccia e le gambe e soprattutto, voleva rivedere i suoi amici. Voleva abbracciare la sua gente e festeggiare.
Alla fermata successiva molte persone scesero dall’autobus, permettendogli di respirare nuovamente. Quando le porte si erano aperte, per pochi secondi aveva sporto il naso e si era immaginato altrove.
A fine corsa l’autobus lo lasciò al capolinea. Dopo pochi minuti a piedi Marco arrivò all’accampamento e poté poggiare le pesanti buste con la spesa che tanta fatica gli erano costate.
Non c’era musica né luci ad aspettarlo. Non c’erano donne a ballare intorno ai fuochi né anziani né bambini. Un piccolo fuoco ormai esausto illuminava le roulotte dal centro del cortile e il pentolame tutt’intorno brillava riverso sui tappeti polverosi.
L’accampamento era stato sgombrato.
Marco prese un lungo respiro e si lasciò cadere sedendosi stanco intorno al fuoco. Stappò una birra. Poi un’altra.
Raggiunse il suo piccolo furgone e controllò il suo acquario. I pesci erano salvi. Ne fu contento ma non sorrise.
Perché tutta l’energia si era esaurita.