pt. 1
di Federico Cirillo
Illustrazione di Simona Settembre
Sergio Pancaldi è un signor nessuno.
La sua storia è con la lettera minuscola, le sue pagine social sono anonime. Il suo gatto Olmo era più popolare di lui, poi l’ha regalato agli zii in campagna.
Ore 07:00
La vita di Sergio è piatta.
Ogni mattina si sveglia nella sua stanza in Via dei Girasoli, saluta il suo coinquilino Fabio, si fa il suo caffè in capsule e dopo una veloce doccia con barba, esce.
Via dei Giunchi, Via degli Ontani, Via dei Glicini, Via dei Castani, Piazza dei Mirti, Metro. Ne avesse mai vista una, poi, di quelle piante.
“Che so ‘sti ontani? – si chiede – e i mirti? Io l’ho giusto bevuto in quella taverna sarda anni fa, non pensavo fosse un fiore, ’na pianta, un frutto...che cazzo è il mirto? Ah già, non prende qua” e mentre lascia naufragare l’idea di controllare su Google, abbandona il suo smartphone nella tasca dei pantaloni.
Metro C fino a San Giovanni, Metro A fino a Termini, quindi Metro B fino a Castro Pretorio: 10 ore di lavoro in ufficio e ritorno: “Cavolo – pensa, mentre viene pressato nel vagone – mi sono scordato di controllare che cos’ è il mirto. Vabbè mo non prende” e così via.
ore 09:00
La vita di Sergio è piatta anche il fine settimana.
O va in campagna dai parenti o va a pranzo da Enzo, l’unico amico che ha a Roma: “A Roma…a Tomba de Nerone, ‘tacci sua” .
«Daje Sergio, io e Mara ti aspettiamo: ho preso la porchetta e le bistecche, metto su la griglia. Porta il vino e la pasta speciale per te. Ps: c’è una sorpresa!1!» gli ha scritto Enzo anche questa domenica.
“La sorpresa – pensa – sarà Silvia, la solita amica di Mara, che ansia. Vabbè so le 9: se esco alle 10, metro Mirti, San Giovanni, scendo a Flaminio e per le 13 ce dovrei sta”.
Ore 20:00
“Bella giornata de merda”, pensa Sergio mentre aspetta la metro C per tornare a casa.
È brillo: il vino rosso che ha portato, gli aveva dato subito alla testa e arrivati al ragù di carne stava già arrancando mentre annuiva, senza ascoltare, ad un discorso che Silvia gli faceva su un sistema di banche fantasma che controllano altre banche e Mario Draghi…boh: era già brillo e annoiato da quelle chiacchiere complottiste.
A seguire: porchetta, bistecca e il video di Paoletto, figlio di Enzo, 7 anni, “una promessa del calcio a’ Se’: questo me diventa come Chinaglia. Ma che ce parlo a fa co’ te, ‘n ce capisci ‘n cazzo de pallone”. Ed era pure vero.
Dopo 3 bottiglie di vino, due di amari e una di limoncello la domenica era andata.
A chiudere, Paoletto gli aveva mandato il pallone sul limoncello, rovesciandoglielo sui pantaloni.
Sente la puzza di cedro stantio anche ora che aspetta la metro a San Giovanni, ma “almeno porto un po’ di odore di piante a piazza Mirti. Che poi che è il mirto? Poi vedo. Se avessi saputo che a 37 anni mi sarei ritrovato così me ne sarei andato, come Guido: Azzorre! Si è aperto una pizzeria…ah no, so celiaco. Cavolo, non fossi stato celiaco, non fossi stato un ingegnere! Se fossi stato, che so: un politico, uno statista! Anzi no, un artista: un cantante, oppure un profeta che si è inventato una nuova religione, o un pilota de formula uno, un calciatore, un divo: CAZZO, TUTTO TRANNE SERGIO!”.
Senza accorgersene, ha urlato ma la banchina è praticamente deserta.
C’è solo un barbone appoggiato al muro che a malapena ha alzato gli occhi e un uomo, che lo guarda e si avvicina: “Mo me ammazza – pensa Sergio – o me mena. Prima me mena, poi m’ammazza. Non potrebbe fa il contrario? Ecco che alza la mano” .
La mano si appoggia delicatamente sulla sua spalla e il gesto è accompagnato da un sorriso e da un: «Sicuro?».
Poi un black-out momentaneo e, tornata la luce, Sergio è di nuovo solo. L’uomo non c’è più.
Al suo posto un odore di “Mirto! Questo è mirto…ma perchè lo so? Vabbè…è stata sicuramente un’ allucinazione da sbronza” pensa e sale sul vagone.
Il viaggio è tranquillo ma Sergio, addormentato sul sedile, ha mancato la fermata e si è risvegliato a Centocelle.
Non fa in tempo a bestemmiare che scende al volo e sente la testa svuotata: deve appoggiarsi alla parete con la schiena e respirare forte. “Non c’ ho più il fisico pe’ le sbronze. Torno a piedi: na bella camminata tra le piante che non esistono e tra le luci di Natale…cazzo è già 23” .
Ore 21:00
La metro Centocelle è silenziosa. Troppo.
Nessuno in giro, nessun rumore, neanche quello delle scale mobili in funzione. Anzi: della scala mobile.
Ce n’è solo una, lunghissima, che sale.
Sergio non ci bada, tiene gli occhi chiusi e pensa: “potevo essere un attore di cinema muto, un attore porno, anzi no un gigolò, un astronauta, un astro…”. Prima di finire il pensiero, apre gli occhi e non capisce.
Dietro di lui la scala continua a scorrere silenziosa. Davanti, un’enorme sala circolare. Rabbrividisce: la stanza è fredda e buia, i muri neri delle pareti sembrano accerchiarlo.
Un lampadario sbilenco, al centro, manda una luce fioca.
Sotto di esso, un uomo: quell’uomo.
Ha un’aria da anziano signore, con una giacca lisa e un po’ impolverata, una barba sfatta bianco sporco. L’iniziale impressione rassicurante da gentil vecchietto si incrina nel guardargli gli occhi: uno nero e uno celeste ghiaccio, quasi bianco. Lo guarda e gli sorride, mostrando denti irregolari ma così bianchi da far luce tutta loro.
Sembra quasi che illuminino la lampadina che pende.
Ore 34:00,00?
«Ma dove…?» la domanda di Sergio si ferma a metà, travolta da una sensazione di fiato spezzato, mista a rigurgito alcolico: girandosi non vede più la scala ma solo una curva infinita fatta di oscurità.
«Ciao Sergio. Non preoccuparti: sei esattamente dove avresti voluto sempre essere».
La voce dell’uomo, ferma e netta, riecheggia creando delle onde sonore che avvolgono completamente il cervello ovattato di Sergio.
La pausa che segue sembra durare un’eternità per poi venire spezzata dalla frase «La domanda non è dove né quando: la domanda è come» che anticipa tutti gli interrogativi dell’ingegnere.
Il sorriso dell’uomo in piedi al centro della sala sembra sottolineare ogni sillaba.
La paura di Sergio è passata non appena la prima parola è uscita dalla bocca dello sconosciuto. Ogni lettera è arrivata al suo cuore e alla sua mente, causandogli sensazioni positive legate a ricordi dimenticati: l’abbraccio di suo padre dopo la prima caduta dalla bici, la mano di suo nonno mentre camminano insieme verso l’edicola, lo sguardo sorridente e stanco di sua madre subito dopo il parto.
«Vedi?» riprende l’uomo aprendo le braccia e le mani che mostrano cicatrici sui palmi «La risposta non è lontana: sei già nella risposta. Se “tutto tranne Sergio” è il punto, ora sei tutto, tranne Sergio».
Come in un teatro di posa vuoto e abbandonato, ad una ad una, con lo stesso “tac” dei riflettori quando si accendono, cento diverse finestre intorno ai due iniziano ad illuminarsi. Quadrati di luce che pulsano e si riempiono di un bianco accecante. Ora è il cerchio che risplende, mentre al centro è di nuovo buio. L’uomo è scomparso ma non la sua voce che Sergio sente chiara.
«Calma, Sergio: sono qui. Sono ovunque. Le vedi le finestre? In ognuna ci sei tu: lì dentro sei tutto, tranne Sergio. Non aver paura, guarda, sono le tue vite».
Sergio si avvicina ad una delle celle illuminate e brillanti. La sua mano sinistra, spinta da una involontaria attrazione, viene calamitata verso la luce. Mille domande viaggiano nel suo cervello come auto impazzite: “Che c’è oltre la luce? E nelle altre? Che vuol dire “tutto tranne che Sergio”? Ma io so Sergio?”.
La mano scompare e riappare dall’altra parte della cella.
Afferra qualcosa: un volantino stropicciato con la sua faccia e il busto in primo piano.
…continua