di
Matteuccia Francisci
Up and down the city road/In and out the Eagle/That’s the way the money goes,/Pop! Goes the weasel
Alice guarda l’orologio, ancora 15 minuti e sarà fuori dall’ufficio. Bussano alla porta: le chiedono un’altra cosa da fare. Si infastidisce e serra la mascella, ma solo per un istante.
«Certo, lo faccio subito» dice, sorridendo finché non si chiude la porta.
Poi tira un calcio alla scrivania. Già si vedeva varcare il cancello e ora invece perderà tempo. Il fastidio passa presto, però, e Alice torna a sorridere.
E’ felice. Forse per la prima volta nella sua vita.
Finalmente fuori, va alla fermata del 118. L’autobus arriva strapieno. Alice sale e continua a sorridere, sotto il cappellino dei Washington Redskins che le tiene i capelli tutti raccolti. Sorride dietro gli occhiali da sole scuri che le coprono gli occhi. Il cuore le batte forte sotto il cappotto nero, abbottonato fino al collo nascosto dentro un dolcevita grigio chiaro. Quasi non riesce a tenere fermi mani e piedi, chiusi da guanti e anfibi. Nello zaino ha le scarpe con i tacchi, la gonna plissettata e il cappotto rosso con cui al lavoro si è mimetizzata.
«Oh, mi scusi» le dice una signora maleodorante, cadendole praticamente addosso e pestandole entrambi i piedi.
«Non si preoccupi, è certo più importante giocare a Candy Crush che reggersi agli appositi sostegni» risponde Alice. Sorridendo.
«Che vorrebbe dire, scusi?» domanda, stizzita, la puzzona.
«Vorrei dire che lei non si è retta agli appositi sostegni perché stava giocando a Candy Crush, per questo mi è caduta addosso pestandomi un piede e facendomi male, oltre al fatto che lei puzza. Ma non c’è problema, capita a tutti signora. Di cadere intendo, non di puzzare».
La signora la guarda a bocca aperta, Alice la guarda dritta in faccia con la bocca che sorride e gli occhi no.
«Ma guarda che roba!» dice la puzzona, allontanandosi in fretta da Alice a costo di urtare tutti quelli intorno a lei.
Alice ricomincia a guardare fuori dal finestrino, l’autobus è già alle catacombe di S. Callisto. Si accarezza il mento con la mano guantata.
Il cuore le batte sempre più forte, l’emozione di rivederla è come una scossa che le percorre tutto il corpo. Com’è che dicono Belle and Sebastian? Formiche nelle mutande. Judy never felt so good except when she was sleeping.
Pensare ai Belle la tranquillizza sempre. Appia Pignatelli Carvilii…dai, ancora poco.
La puzzona scende, si gira a guardare l’autobus ed Alice la saluta con un sorriso beato.
Ecco il supermercato, dai che ci siamo.
Erode Attico, curioso che sia proprio la sua fermata.
Percorre il tratto di strada ormai familiare, arriva all’appartamento seminterrato che è riuscita a trovare dopo accurate ricerche. Trovare la casa è stata la seconda cosa più difficile da fare per lei. Si ferma davanti alla porta, tira su le braccia, si stira per bene, piega la testa a destra e sinistra finché non sente un leggero crac! Si abbassa verso il tappetino, trova le chiavi che sono sotto, le infila nella toppa e prende un bel respiro.
Sente il calore pervaderle tutto il corpo quando entra e la vede lì, davanti a lei. L’oggetto del suo desiderio. È seduta. E sudata. Alice entra di spalle, arricciando leggermente il naso per l’odore nella stanza, ma senza smettere di sorridere. Si leva il cappellino dei Redskins, gli occhiali neri e il cappotto, si sfila il dolcevita e la canottiera. Rimane così, in anfibi, pantaloni, reggiseno e guanti. Poi si infila il passamontagna posato sul mobile accanto alla porta, e si volta.
«Ciao amore mio, come stai oggi?»
La donna seduta sulla sedia alza la testa, piano, ed emette un suono flebile.
«Oh, scusami amore, hai ragione », Alice si avvicina alla donna e le strappa il nastro nero dalla bocca.
«Per favore… basta… per favore… ma chi sei? Ti prego lasciami andare.»
«Sono l’amore tuo, amore mio. Ti sono mancata? Tu mi sei mancata tanto. Ma adesso siamo insieme di nuovo, sono così felice. Così. Felice.»
La donna seduta alza il viso, gonfio. «Ma perché? Cosa ti ho fatto?»
Alice l’accarezza piano sul viso, poi il collo e giù lungo la scollatura del camice. Potrebbe spiegarglielo, certo, ma non è più sicura di ricordare il perché. Sa solo che la fa stare bene, e che quella donna se lo merita.
«La vita è come una scatola di cioccolatini. Non sai mai quello che ti capita», le dice soltanto, imitando l’idiota voce di Forrest Gump.
E finalmente comincia il suo nuovo dopolavoro, da quando sette giorni fa l’ha fatta portare qua e legare alla sedia. Per venirla a trovare, dopo il lavoro. Ogni giorno, per un’ora. Sequestro di persona, lesioni personali aggravate e chi più ne ha più ne metta.
La felicità ha un prezzo da pagare, si dice Alice quando ha finito. È stanca e rilassata, inondata di endorfine.
«Questa è l’ultima volta che ci vediamo, amore mio. Sei perfetta così. Ti faccio una foto? No, meglio di no».
La donna respira. Piano, ancora.
Alice sorride ancora quando esce senza voltarsi e torna alla fermata. Probabilmente, si dice, sarà pieno del mio DNA là dentro: sudore, capelli…non importa. Ne valeva la pena per sentirsi così leggera. Solo quando sale sul 118 capisce che è finita. E’ stata la cosa più difficile di questa faccenda, sapere che sarebbe finita. Forse la troverà domani il proprietario di casa.
Torna domani? Alice non se lo ricorda. Le fanno male le braccia e neppure si rende conto di quando le lacrime cominciano a scorrerle lungo il viso.
Ha perso il suo dopolavoro, ha perso la felicità.