di Davide Paciello
Illustrazione di Francesca Bosco
Aspetto il tram.
C’è vento.
Una volta, a Foggia, vidi una donna ben vestita che camminava sul marciapiede verso casa. C’era vento.
I cassoni dei rifiuti stracolmi d’immondizia e sacchi, buste, carte e cartoni sparsi intorno.
Volava terra e schifo.
L’asfalto era crepato in più punti. Uno scenario da terzo mondo, quello che si vede nei programmi spilla-soldi delle onlus.
La mia città, un mondo sporco, brutto e devastato da una guerra mai combattuta o mai superata.
La donna, raffinata ed elegante che andava verso il portone di casa, in aperta contraddizione con il resto del posto. Un abito e un portamento tipici del centro di Milano, ma eravamo a Foggia.
Niente tram.
Una volta ero al ghetto di Rignano insieme ad un amico impegnato nella lotta al caporalato.
Eravamo lì con Yvan S. e due emiliani dirigenti di un’azienda agroalimentare interessata alla filiera etica dei prodotti. Il ghetto è una baraccopoli enorme: le case sono un misto di lamiere, plastica e altri ritrovati da discarica.
Però c’era un buon odore di cibo.
Aveva piovuto: fango e grigiore rendevano tutto più suggestivo.
Stavamo attraversando quella che nei fatti era una discarica abitata, quando il borgomastro del ghetto si accorse che stonavamo con il contesto: «Non è uno zoo, questo», diceva, «Yvan, cazzo! Non puoi portare gente a fare il giro turistico qui».
La lite aprì questioni tra di loro: da quando erano vicini di casa in quella discarica a quando i giornalisti vennero a fare servizi di nascosto da usare per fini propagandistici.
I toni erano accesi.
Noi “terroni” eravamo tranquilli, avevamo letto perfettamente il tipo di lite, più scenica che pericolosa.
Del resto litigavano in italiano, anziché in francese, per renderci partecipi.
I due imprenditori emiliani, invece, cercavano di sedare la lite. Erano spaventati.
Un uomo portò un coniglio bianco selvatico tenendolo per le orecchie.
La bianchezza dell’animale, il nero dell’uomo. Pensavo stesse per ucciderlo e cucinarlo.
Ero curioso e interessato.
Lo mise semplicemente in una gabbia sotto un bancone.
La lite finì e ce ne tornammo alle macchine. Del coniglio non seppi più nulla.
Il tram non arriva più.
Metto le cuffie e faccio partire Titanic di de Gregori: “la prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento, puzza di sudore dal boccaporto e odore di mare morto”.
Ah, siamo un grande Paese e, del resto, ci si abitua a tutto.
Come un coniglio in una cuccetta ti dimentichi persino che stai affondando.
“Ma chi lo ha detto che in terza classe si viaggia male?”