di
Federico Cirillo
Illustrazione di Ponz
– Non c’è eroe senza pubblico.
– La nazione che dimentica i suoi eroi sarà essa stessa dimenticata.
Morde il freno, il 776. Accelera per un attimo per poi inchiodarsi di botto, repentino e macchinoso come un transatlantico a vapore che non riesce a circumnavigare la punta dell’iceberg.
Lo scossone è forte, irritante e al contempo sordo quanto le reazioni mute ed inerti dei passeggeri. Spenti come il cielo livido di una Roma invernale, fiochi come le luci sporche del 776.
Qualcuno dorme, o almeno ci prova, facendo ciondolare la testa tra uno scossone e l’altro. Qualcuno è perso nei ronzii del suo smartphone. Un bambino, approfittando della condensa umida posatasi sul finestrino del 776, traccia un segno, che diventa disegno: un pipistrello…
Batman! Penso rinvenendo dal limbo della mia fiacchezza serale. Batman prende quest’autobus, mi ripeto sorridendo tra me e me al ricordo del “matto” vestito da Cavaliere Oscuro e ripercorrendo quella sconclusionata conversazione avuta più di una settimana prima proprio qui, sul 776.
«Matto? Matto, sì… e dire che allora…». Di nuovo, quella voce, quasi come leggesse i pensieri e scrutasse l’anima, squarcia dapprima la mia coscienza per poi attirare la mia attenzione. Come l’ultima volta.
Il mormorio è accompagnato da un gesto repentino e sicuro che mal si scontra con la mano rugosa, molle e al contempo vellutato. L’uomo mi afferra il polso senza voltarsi, quasi ad impedirmi di ripetere il gesto involontario di guardare l’orologio.
«E dire che allora – riprende, saltando nuovamente tutti gli inutili convenevoli – quel matto era un eroe. Quel matto era Batman».
«Ah è lei – faccio con tono sorprendentemente distaccato– buonasera signor…?»
«Mi chiamo Alfredo e no, non risolvo i problemi». No, scherzo tra me e me, al più me li crea.
«Vedi, ragazzo – riprende senza aspettare il mio nome e aggiustandosi sul naso i soliti occhiali da sole – forse era davvero matto, lui. Lui ha sempre osato lì dove gli angeli temevano di andare».
Non faccio in tempo a spegnere lo scetticismo che è in me che, seguendo il suo cenno a guardare in avanti, lo rivedo.
Batman, o meglio, il tizio vestito da Batman, è di nuovo qui, sul 776.
In piedi, nella sua tutina sempre troppo stretta per quel fisico trasandato, ma leggermente più distinto.
Ha qualcosa di diverso, penso. Schiena più dritta? Mantello meno liso? Maschera tirata a lucido? Mah, mi rassegno, sta comunque fuori, concludo distogliendo lo sguardo.
«Sì, d’accordo, tutto molto intenso e anche un po’ teatrale, signor Alfredo, ma perché? Cioè non le chiedo chi è, perché ho paura della risposta e, soprattutto, ho paura del suo tono inquietante nel darmela, ma le chiedo perché? Perché è vestito così? Perché è qui? Perché su questo stramaledetto autobus? Perché sul 776!» urlo alla fine.
Tra una risata e un colpo di tosse, sotto lo sguardo di un passeggero che d’istinto si volta verso di noi infastidito, il signor Alfredo, scuotendo il capo e trattenendo il ghigno consumato dal tempo e dal tabacco, riprende e con solerzia mi domanda: «Proprio non ci arrivi, eh? – tossisce, invecchiando di 30 anni in un secondo – Proprio non vuoi sforzarti, eh? Il mondo è troppo piccolo perché uno come lui – indicandolo – possa sparire, per quanto in basso decida di scendere. Sai, ci vorrebbero 30 fermate per raccontartelo… cercherò di mettercene 10 o anche meno… la prossima volta».
Si alza, barcolla un minimo cercando di tenere l’equilibrio per arrivare a prenotare la fermata e immobile, sempre in piedi accanto a me, aspetta, guardando fisso in direzione di Batman, o meglio, del tizio vestito da Batman.
Intanto, il matto, lo strano, come ormai lo inizio a considerare, con un sospiro lunghissimo e faticosamente lento, si sfila un guanto bucato e con un gesto ancora più lento si allarga di un altro buco il vistoso e ingombrante cinturone giallo posto sopra un ridicolo mutandone nero opaco che è solo il culmine di un paio di fuseaux grigio sporco. Tempo di rimettersi il guanto, con la stessa fatica messa in campo per toglierselo, ed eccolo che scende a Grotta Perfetta.
«Mah – mi rivolgo al signor Alfredo, questa volta più calmo – davvero, perché? Perché qui? Perché il 776?»
«Beh – con voce che sembra provenire da una caverna – lo sanno tutti, ragazzo, Batman vive qui, a Grotta Perfetta. Ma nessuno sa in quale, ragazzo».
Pur rimanendo sbigottito, non riesco a trattenere un sorriso: «Ah – aggiungo mentre il signor Alfredo mi scavalca per scendere – io comunque sono…»
«Lo so – mi interrompe senza aspettare altro e ignorando la mia mano tesa – lo so chi sei, ragazzo. A proposito – mi fa prima di scendere alla fermata successiva – questi sono i tuoi calzini, ricordi?» e lasciandomi in mano delle calze rosse a pois verdi e con una banda gialla in punta, scende tossendo, ridacchiando e lasciandomi pieno di dubbi.
I miei calzini? Ricordi? Ragazzo? Batman? Ma che diavolo sta succedendo?
[Continua…]