di
Arundo Donald
Capitolo settimo. Voglio andare alle Canarie
Le fresie erano veramente freschissime ed emanavano un profumo pungente. Tiziano infilò il naso dritto nel mazzo e fece una bella sniffata, lasciando che l’aroma lo pervadesse inebetendolo. Ogni fibra del suo corpo si contorse rabbrividendo e il cervello gli si sciolse nel cranio colando giù fino ai piedi.
Aveva indosso dei grandi occhiali neri marca VIP che usava per nascondersi e passare inosservato. Al collo portava il suo foulard arancio selvatico preferito, con sopra ricamati i pappagallini colorati. Era alla fermata e aspettava. Il cornetto al lampone era stato ottimo ma ora si sentiva gonfio e costipato. La pancia premeva contro i pantaloni e una fitta gli opprimeva le budella. Si guardò intorno. Poi scorreggiò.
L’aria circostante la fermata divenne rarefatta per un raggio di due metri. Pareva via di Malagrotta nel mese di luglio. Provò a trattenersi, ma quella fu solo la punta di un iceberg.
A bordo del 60 express la situazione procedeva timidamente. Sembrava quasi che prede e predatori si studiassero a vicenda. Se in fondo all’autobus Nando escogitava il modo per ottimizzare l’offensiva, tra le file centrali Satif cercava il posto migliore dove posizionarsi. Il Pomata era distrutto e aveva abbandonato la fronte contro un finestrino. Ida si chiedeva se Franci avrebbe mai fatto in tempo per la colazione.
Viky lentamente spostò il braccio allontanandolo dal fianco e, con dolcezza e disinvoltura hollywoodiane, afferrò delicatamente la mano di Andre. Il cuore le pulsava a mille e non stava respirando. Quando anche lui, lentamente, ricambiò il gesto serrando la mano, finalmente ricominciò a prendere aria. I due non si guardarono né si parlarono.
L’autobus rallentò, emettendo il rantolo affaticato dei freni esausti. Si fermò accucciandosi leggermente dal lato delle porte e sbuffando aria si concesse a Franci. Masticando l’ultimo pezzo di mela, il ragazzo salì dal retro. Con grande borghesia, gettò fuori il torsolo finito e si pulì le mani sui calzoni. Poi le porte si richiusero, ingoiandolo.
Lasciatevi alle spalle ogni pensiero, non fate cose azzardate, ma fate la cosa giusta. Volate alle Canarie!
I neuroni di Conan erano partiti. Nel senso che per la prima volta sentiva di aver avuto un’intuizione, di aver capito le cose. Forse solo… di avere dei neuroni! Non poteva morire senza aver mai volato; visto altri paesi; essere andato a letto con un’erasmus sbronza sopra un pedalò. Insomma, non poteva finire così.
«Io mollo» disse timidamente agli altri.
Ma Andre e Viky neanche lo sentirono. Stavano avendo un dialogo bellissimo, una discussione intensa senza parole, solo attraverso quella stretta di mano.
La mano di Andre stava dicendo: «Sì, è vero che ti ho sempre definito stronza e probabilmente perché lo sei, però quando ti vedo tutto va meglio. Il sangue è più fluido, la vista migliora, perfino il mondo sembra non essere poi solo una grande cacca cosparsa di vegetazione».
E la mano di Viky rispondeva: «Ma lo so, sciocchino, ricordati che tu fai quello che dico io, perché sei l’uomo e quindi l’essere inferiore. Comunque mi piaci da morire e poi quello che hai detto tu però sempre un po’ di più».
«Io mollo! Ma mi state ascoltando? … Ehi? Ho detto che mollo!! Stop; fine; caput!!!»
Andre fece per ribattere alle parole di Conan, ma improvvisamente fu distratto dalle grida delle persone nell’autobus.
«Avete visto? È lui… è Tizianone Farro!!!»
«Guardate… sta per salire alla fermata!»
L’autobus aveva raggiunto la fermata successiva. Quando le porte si aprirono, da quella anteriore comparve un’accozzata di colori con sopra la testa di Tiziano Farro e un leggerissimo lezzo di cavoli cotti si percepì nell’aria.
Conan afferrò Andre dalla maglietta e lo portò vicino.
«Non possiamo farlo oggi… non oggi, cazzo!»
«Smettila!!!» ribatté Andre, stringendo in una mano la stringa dello zaino e liberandosi con l’altra dalla stretta dell’amico.
La gente continuava ad animarsi vistosamente.
«È lui, è lui, ne sono sicura!»
«Ma dici?!?!»
«Sì, sì, al cento per cento!»
Le grida poi esplosero letteralmente, diventando fortissime. C’era perfino qualcuno che sbatteva i pugni ai finestrini. Andre si chiese come fosse possibile. Neanche al concerto dei Guns a Bilbao aveva visto scene del genere. Le grida aumentarono copiosamente: «Aiuto, aiuto!!» Andre non ci voleva credere. Poi un ruggito grottesco ammutolì per un istante il marasma generale: «Dove sei?!? Dov’è il sudicio maiale maledetto?!?!»
Nando imbracciava minaccioso il fucile. Aveva fatto la sua mossa.
Tutti ripresero subito a strillare più forte, così che nell’autobus non si riusciva neanche a sentire i propri pensieri. Era l’Inferno dantesco rappresentato in un unico girone. Era l’inizio del caos.
Nonostante il mezzo fosse già teatro di guerra, quel giardino delle delizie metropolitano avrebbe presto visto un ultimo atto; un finale eclatante e imprevedibile, partorito da personaggi senza vergogna e disposti a tutto pur di completare il loro percorso.
Viky si strinse ad Andre con tutta la forza. Conan, in trance, ripeteva di voler andare alle Canarie. Come se chiamato in causa, Tiziano fece un peto eclatante, talmente colossale che tutti nell’autobus cominciarono a tossire. Il terrore lo aveva contratto a tal punto che un vulcano d’aria tossica era fuoriuscito dal suo corpo, liberandolo.
L’atmosfera ora era mefitica e l’autobus un pandemonio. Sembrava un pianeta lontano. Forse il Pianeta ATAC.
L’autista accelerò, puntando Porta Pia.