di Davide Paciello
Illustrazione di Francesca Bosco
Aspetto il tram in piedi.
Il professore di Storia e Filosofia che sostituivo era figlio del ’68, o propriamente o spiritualmente: ci teneva che andassi con lui alle manifestazioni per la pace.
Probabilmente era cattolico, aveva quella cosa che noi materialisti postmoderni avevamo perso: la fede. Pensava che una forte adesione alla marcia, dal centro di recupero per tossicodipendenti fino alla base militare dell’aeronautica, avrebbe fatto la differenza nelle decisioni politiche internazionali. L’evento fu un fallimento, erano pochi, nessuno si è accorto di loro.
Il disinteresse dei giovani e della cittadinanza a quella manifestazione la trovò una cosa inspiegabile, un po’ come io trovavo inspiegabile il nesso tra una marcia e la pace.
Tuttavia, mi misi nei suoi panni e capii il suo sconforto quando vide fallire un vecchio strumento di coesione e partecipazione iniziando a credere che ormai neanche la guerra ci faceva più orrore.
La sua generazione si lavava le mani dal sangue camminando insieme per strada e facendosi i pom…complimenti a vicenda.
La mia era così disillusa che si lavava le mani direttamente nel sangue.
Faccio sopra e sotto sulla banchina, come se questo gesto potesse far comparire il mezzo.
Ogni tanto dico a mio padre che la sua generazione è stata l’ultima a poter sperare in un futuro migliore del passato. Lui, puntualmente, mi fa notare che malattie, guerra e catastrofi ambientali sono una costante delle vicende umane.
Forse a noi è toccata, in più, la plastica e la crisi climatica.
Più che altro la sua generazione vedeva il futuro, lo sognava e lo immaginava migliore del presente, noi, invece, stiamo sprofondando nei futuri distopici da film anni ’80.
Abbiamo perso la facoltà di immaginare qualcosa di diverso o migliore.
Penso al pazzo di Nostalghia, “qualcuno deve dire che costruiremo le Piramidi, non importa se le costruiremo davvero”. Qualcuno deve dire che una passeggiata fino ai confini di una base dell’areonautica porterà alla pace, non importa se non succederà.
Faccio un profondo sospiro e decido che il tram sta arrivando.
Stasera tornerò a casa, mi toglierò i vestiti cuciti dai bambini birmani, farò una doccia fredda per risparmiare il gas, la farò in fretta per prepararmi all’emergenza idrica; mangerò del cibo che sa e contiene plastica e vedrò un film su una piattaforma streaming internazionale che non paga le tasse nel mio Paese.
Chissà se c’è Fuga da New York di Carpenter.